Non scrivo mai di uccelli, non me ne intendo, di solito non mi entusiasmano più di tanto, anzi, a volte mi stanno pure antipatici. Attirano beffardamente l'attenzione con i loro deliziosi cinguettii, ti fanno lasciare tutto ciò che stai facendo per ammirarli: mentre loro gorgheggiano tu corri a prendere gli occhiali che non si trovano mai e appena riesci a scorgerne la coda tra i rami, volano via!
A cinquant'anni non è semplice vedere un uccello, tenendo conto della presbiopia e di altri problemi con cui non sto ad annoiarvi. Quando succede di avere un uccello a portata di vista, magari un esemplare bello grande o uno stormo intento a cibarsi e quindi statico, ci si sbizzarrisce con le foto.
Così è successo in questi giorni andando a Vercelli, tra aprile e maggio infatti a poco a poco i contadini iniziano ad allagare le risaie e gli acquitrini attraggono molte specie di volatili, principalmente quelli di palude, che vi trovano tutto ciò che serve loro per una vita deluxe: buffet h24 di vermetti, girini e granaglie per i vegani, idromassaggio, sdrai di erba morbida e fresca, nidi panoramici. Andando a Vercelli, dicevo, sono riuscita a vedere senza occhiali uno stormo piuttosto nutrito (ben nutrito) di uccelli con uno strano becco ricurvo. Mi sembrava a dire il vero di averli già visti ma in un ambiente del tutto diverso. Museo Egizio? L'età che avanza gioca brutti scherzi però, cinquantenne sì, rimbambita ancora no! Erano proprio i discendenti del dio egiziano Thot.
Che ci fanno persi nella Pianura Padana i pronipoti dell'ibis sacro, venerato tanto dall'antico popolo egizio? Conosco bene la silhouette, da piccola la riconoscevo tra mille mummie di animali custoditi nel museo torinese e non mi posso sbagliare. Quest'uccello molto grande (apertura alare circa 120 cm), originario dell'Africa sub sahariana, era considerato una divinità per la sua abitudine di nutrirsi di serpi, topi ed occasionalmente anche di piccole carogne, risultando così un protettore della popolazione che viveva lungo il Nilo, era il dio della matematica e della geometria, il suo sguardo fisso in un atteggiamento altero lo portò ad essere simbolo di intelligenza.
Diversi anni fa fu inserito per motivi ornamentali ed educativi in alcuni parchi e giardini zoologici ma, probabilmente in seguito a fughe o rilasci, si è diffuso in Europa. In Italia ha trovato un ambiente perfetto nelle zone umide della Pianura Padana, lungo le rive del Mincio, nel delta del Po, in Polesine, man mano è risalito lungo il grande fiume e dal 2009 si sta naturalizzando tra Vercelli e Novara, trovandosi particolarmente a suo agio nelle calme acque primaverili delle risaie.
Lì per lì mi è sembrata una cosa meravigliosa: un pezzo di Egitto appena fuori casa! Ma un'amica molto esperta mi ha informato e mi ha fatto riflettere. La bellezza esotica dell'ibis in realtà qui da noi è un problema, la specie è predatrice ed onnivora, si nutre di anfibi, piccoli roditori, molluschi, insetti ma anche delle uova e dei pulcini di altre specie, ad esempio garzette, anatre, aironi, gli uccelli di palude "indigeni" e quindi, se il numero di individui dovesse aumentare, potrebbe mettere a rischio la fauna autoctona.
Accipicchia. Inoltre, ironia della sorte, ho letto che in Egitto, proprio nel luogo che ne aveva fatto una divinità, ora l'ibis sacro sta per estinguersi. Che disastro. Quando l'Uomo mette le mani sulla natura combina sempre guai.
Che dire, nella mia profonda ignoranza sull'argomento spero che l'ibis non prolifichi al punto da essere nocivo per le specie "padane" ma spero anche che possa integrarsi con esse, che in qualche modo si possa giungere ad un equilibrio naturale. Vorrei poter vedere ancora, come successo, l'ibis rilassarsi accanto ad una bella garzetta, un lungo becco nero elegantissimo prendere l'aperitivo al tramonto assieme ad un airone color di perla.
Birdwatchers, attrezzatevi.
Magalie



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